Per esempio, Wikipedia: «Il coaching è una strategia di formazione che, partendo dall’unicità dell’individuo, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione che possa migliorare e amplificare le proprie potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team, manageriali e sportivi».
“Servizio di consulenza a pagamento, volta a migliorare l’organizzazione della vita dell’individuo nell’ambito familiare o lavorativo” (Garzanti Linguistica)
Ah, adesso è più chiaro, penso. Il coach quindi è un consulente. Che migliora la tua vita. Quindi il coach è qualcuno che sa come migliorare la vita delle persone fornendo suggerimenti, pareri, azioni, insomma tutto ciò che fa solitamente un consulente. Che dunque dovrebbe — deve — conoscere ogni unicità. È un guru? Un guaritore? Un po’ psicologo e un po’ psicoterapeuta?
proviamo a fare chiarezza e cominciamo, come è giusto che sia, dall’inizio.
Nella lingua inglese, la parola coach ha essenzialmente due significati: allenatore (specie nello sport) e carrozza (cocchio, vettura di un treno, etc.): quindi possiamo concludere che il coaching è l’atto di allenare e/o accompagnare qualcuno da un punto a un altro, lavorando sia sulle capacità di fare, di saper fare, di essere (allenamento) che sulla progressiva modificazione ed evoluzione della propria percezione e consapevolezza (mobilità).
Questi contenuti possono essere rilevati, per un verso, nella storia della filosofia, che a partire dall’antichità (Socrate e la sua celeberrima arte maieutica, basata sul dialogo e sulla progressiva scoperta di sé senza verità precostituite) e attraversando i secoli (Cartesio, Kant, Nietzsche, Heidegger, per citarne alcuni), fino ad arrivare ai giorni nostri, ha dato un contributo essenziale sul piano della mobilità intesa come sviluppo dell’autocoscienza e della consapevolezza; per un altro verso, il mondo dello sport ha utilizzato la figura del coach non solo per allenare le capacità degli atleti, ma anche per scoprire nuove abilità, motivare, sviluppare la prestazione (performance).
Nel 1974 fu pubblicato “The Inner Game of Tennis”, un libro scritto da un docente dell’Università di Harvard (USA), ex giocatore e istruttore di tennis, Timothy Gallwey, considerato il padre fondatore del coaching moderno, il cui insegnamento può essere condensato nel seguente concetto: «L’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete». Sviluppo delle capacità, riduzione degli ostacoli interni, apprendimento dalla propria esperienza: sono questi gli elementi della prestazione.
Il concetto del coaching sportivo è stato trasposto e portato in azienda da un altro ex sportivo, l’inglese John Whitmore, che ha codificato i principi dello sviluppo della performance nel mondo del business in un’opera intitolata “Coaching for Performance”, in cui fra l’altro si sostiene che un aiuto all’apprendimento è più efficace che impartire insegnamenti.
ICF (International Coach Federation) definisce il coaching come una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale.
Secondo AICP (Associazione Italiana Coach Professionisti) il coaching consiste in un metodo di sviluppo dei singoli, dei gruppi e delle organizzazioni, basato sul riconoscimento, la valorizzazione e l’allenamento delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi definiti dal cliente (coachee) e con l’eventuale committente. Il processo di partenrship tra coach e coachee è basato su una relazione di reciproca fiducia; l’agire professionale del coach facilita il coachee a migliorare e valorizzare le sue competenze e potenziare le sue risorse.
Sogna un salto di qualità nella vita personale, professionale, sportiva.
Desidera raggiungere un obiettivo specifico o superare un problema personale o professionale.
Vuole entrare in maggiore sintonia con sé stesso e con le proprie emozioni, migliorare l’interazione e la comunicazione con gli altri.
Vuole accrescere le capacità di gestione del tempo e degli spazi da dedicare a se stessi e alle persone che considera importanti nella propria vita affettiva e di relazione.
Vuole sperimentare una condotta di vita più vicina ai propri bisogni e all’accoglienza e rispetto dei bisogni altrui.
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